Quest’opera giovanile di Rembrandt, che descrive la parabola del ricco stolto, è assai efficace nel mostrare l’involuzione patologica che produce la ricchezza quando viene semplicemente vissuta fine a se stessa. Quest’uomo, sommerso da libri, confusamente aperti ed evidentemente continuamente consultati, non fanno altro che creare un senso claustrofobico all’ambiente, di cui l’anziano signore non sembra darsi pena, tutto intento com’è nel ponderare scrupolosamente, a lume di candela, la moneta che tiene tra le dita. Il gioco di luci ed ombre enfatizza ancor di più il paradosso in cui l’uomo vive, dominato dalla contemplazione del talento, che lo spinge sempre di più nel vicolo cieco della solitudine e della vacuità. Il biografo del grande artista olandese sostiene che il suo motto fosse: “se voglio procurare benefici alla mia mente non cercherò gli onori, ma la libertà”. Ma la libertà è una moneta di gran valore e non la si guadagna con il sotterrare il talento, “perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha” (Mt 25,29), che significa l’esatto opposte di ciò che sembra dire e cioè che l’unico modo per guadagnare, nella logica evangelica, è quello di perdere. Il ricco e colto anziano dell’opera di Rembrandt avrà, come noi, un unico modo per vivere nella vera ricchezza: uscire ed impegnare con frutto il proprio talento, qualsiasi esso sia.
P. Saul Tambini
Rembrandt, Parabola del ricco stolto, 1627, Gemäldegalerie-Berlino
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