“Voglio vedere con gli occhi del corpo” diceva san Francesco nell’occasione del primo presepe vivente. Si potrebbe attribuire questa espressione anche al povero apostolo Tommaso, passato alla storia purtroppo più per una supposta incredulità che per il suo carattere così intrepido e fiero. Infatti, lo troviamo assente dalla riunione apostolica dopo la Pasqua, la quale però era appunto condizionata dalla “paura dei Giudei” (Gv 20,19). Con gli occhi del corpo cosa vorrebbe vedere dunque il nostro Tommaso? Non tanto la verità della resurrezione, quanto i segni del corpo morente del Maestro. Questa indicazione così precisa, che il Guercino mostra con evidenza caravaggesca in questa nota e mirabile opera, illustra anche quanto ciò che era premura di indagare da parte dell’apostolo fosse soprattutto l’efficacia salvifica di questo evento pasquale. Portare i segni della morte da parte del Risorto significava attribuire alla Pasqua un senso che andava oltre la dimensione del semplicemente miracoloso e assumere la qualità universale della salvezza per tutti. L’acclamazione attribuita all’”incredulo” Tommaso è dunque la più alta confessione di fede evangelica: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28). Solo uno così: uno che rischia, che dubita, che interroga, che cerca, può giungere a trovare una risposta così folgorante alle domande che si pone. L’esito della ricerca di una vita è dunque tutto in questo incontro, insieme reale e mistico, che il Signore ha preparato per coloro che lo cercano.
P. Saul Tambini
Guercino, Incredulità di San Tommaso, 1621, Pinacoteca Vaticana – Musei Vaticani – Città del Vaticano.
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