XXIII T.O. – L’Arte racconta la Fede – «Effatà»

Già altrove la pittura aristocratica e spirituale di Philippe de Champaigne si era misurata sull’aspetto taumaturgico dell’opera di Cristo. 
Anche qui il tema della guarigione apre lo spazio alla contemplazione della natura, come se il gesto del Signore non fosse riservato al solo malato, ma contenesse in sé una portata universale, cosmica. 
Anche nel testo evangelico, del resto, questo gesto miracoloso si compie in una cornice più ampia: “uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli” (Mc 7,31). Il vangelo di Marco sottolinea poi, come l’artista francese, la concretezza del gesto e il suo carattere così fisico, ponendo le dita del Signore sulla lingua del malato. 
Cosa si cela dietro questo contrasto solo apparente? Che il miracolo è segno di una volontà divina di restaurazione dello stato di natura originario, paradisiaco appunto. 
Alla fine, tutti potranno esclamare, perciò: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!” (Mc 7,37), così come in origine, quando “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1,31).
 
P. Saul Tambini
 
Philippe de Champaigne, Guarigione del sordomuto, 1645-1665, University of Michigan Museum of Art – Ann Arbor.
 
 
 
 
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