Un Bacco seminudo e po’ impacciato, in vesti tutt’altro che empiree, impone una corona di edera ad uno dei contadini riuniti per ciò che appare come una pausa di lavoro meritatissima.
La scena si muove tra il grottesco e il solenne. Bacco improvvisa una sua liturgia, quasi debba comunque rispettare delle regole. Tra i compagni di avventura c’è pure chi prende il tutto piuttosto seriamente, ma i più approfittano del momento con goliardia.
La grandezza dell’opera del sublime Velázquez, sta tutta nel denunciare e celebrare il carattere solennemente illusorio del vivere del momento, di un istante. Che misura di inganno infatti possiamo riconoscere in tutta questa delirante goliardia! L’abbaglio di un momento che passa e che viene illusoriamente vissuto come un paradiso fortunato e duraturo. Non è così. Il sorriso del vero protagonista dell’opera, il mezzadro che sta offrendo la bevanda divina proprio a noi che osserviamo, è il sorriso beffardo di chi ci ha preparato una pozione indigesta, la tentazione più acuta e prossima: vivere di un momento come se non fosse fuggevole, estraniarsi in una felicità effimera.
Come una scure su questa scena piomba la parola più vera, quella di Cristo: “State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita” (Lc 21,34). Non è la parola di un guastafeste, ma la parola di colui che anticipa, nella veglia, una felicità perenne e non sfiorata da alcuna facile illusione.
Diego Velázquez, Trionfo di Bacco, 1629, Museo del Prado – Madrid.