Il magnifico affresco del Beato Angelico del convento di San Marco a Firenze, dedicato alla trasfigurazione di Cristo, sembra proprio avere la funzione di far “risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo” (2 Cor 4,6). Cristo vi appare maestoso e sfolgorante, in vesti candide e dentro una mandorla ancora più bianca, ad esprimere la sua incomparabile forza e la sua accecante luce, mentre, a braccia allargate e tese, evoca ciò che a tutti coloro che non conoscono tale luce appare destino tragico e fatale. Mosè ed Elia, come la Vergine Maria e San Domenico, possono assistere alla scena per la loro conquistata maturità mistica. Gli apostoli, così a noi simili, ci interessano evidentemente di più: uno, Pietro, dominato dalla paura, sembra già richiamare un atteggiamento di ritrosia e irresolutezza che lo accompagnerà per tutta la vita; l’altro, Giacomo, oppresso da troppo fulgore, si rifugia, coprendosi, nella comoda “divina indifferenza” (Montale); l’ultimo, Giovanni, cercando timidamente di alzare il capo, piega le ginocchia in adorazione. Sotto la luce di Cristo, insomma, ci siamo tutti, proprio tutti, ognuno con i suoi limiti e le sue debolezze, ma tutti, proprio tutti, con l’opportunità, che suona come un privilegio, eventualmente di udire il comando del Padre: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!” (Mc 9,7).
Beato Angelico, Trasfigurazione, 1438-1440, Museo Nazionale di San Marco – Firenze.