Cosmè Tura è stato grande pittore di corte ma di spiccata personalità, che riversava in uno stile netto e deciso. I suoi personaggi non sono mai comuni e non lasciano mai indifferenti. È il caso di questo San Girolamo che appare insolitamente forte e determinato, contrariamente al tema che dovrebbe rappresentare, e con cui solitamente si dipinge il santo illirico, quello del ritiro, della penitenza e della solitudine. Si tratta però di uno stile che esprime bene il senso di ciò che Girolamo cercava nel deserto e che non poteva trovare evidentemente altrove. Pensiamoci bene: l’apostolo per definizione non potrebbe stare dove si trova Girolamo, la sua parola, la sua testimonianza deve solcare i mari, attraversare strade, annunciarsi nelle piazze. L’evangelo vive necessariamente della sua comunicazione. Qui Girolamo, brandendo la pietra della penitenza, lasciando i libri sacri chiusi ai suoi piedi, e accantonato l’inutile cappello cardinalizio, con un’eloquente civetta alle sue spalle (la prioritaria della vita ascetica!), comunica appunto esattamente l’opposto: il Vangelo vive anzitutto della sorgente da cui proviene e dunque di ritiro, di silenzio, vive dell’invito del Signore di andare senza aver nulla con sé, ma anche dell’invito di venire “in disparte, voi soli, in un luogo deserto” (Mc 6,31). L’impetuoso Girolamo del grande pittore ferrarese vuole dunque comunicarci che solo riscoprendo la centralità della preghiera e del silenzio possiamo di nuovo recuperare quell’inesausta forza che il Vangelo può ancora farci sperimentare.
P. Saul Tambini
Cosmè Tura, San Girolamo penitente, 1470, National Gallery – Londra.
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