“Tutti ti cercano” dicono gli apostoli, nel vangelo di Marco, rivolgendosi al Maestro di Nazareth (Mc 1,37). In cosa si distinguesse dagli altri questo ebreo di Galilea è difficile saperlo. Anche se proprio in queste pagine si dice che la sua parola fosse autorevole e non fosse come quella degli scribi. La folla sembra davvero comunque mettere pressione su Gesù in tutte le pagine evangeliche, per toccarlo, per cercarne un’attenzione, uno sguardo. Rembrandt ha fatto di questa ricerca di Cristo, del suo volto, la sua arte. Non solo per l’innumerevole numero di opere sacre che ha realizzato, ma perché in ogni volto, umanissimo, comunissimo, ha sembrato ricercare un volto originario e destinale, il volto verso cui la sua spiritualità e la sua arte dovesse in qualche modo convergere e orientarsi. In un tempo in cui la sua Amsterdam brillava di opulenza e splendore, i volti che emergono dalle sue tele sono feriali e comuni, eppure tutti esprimono più di quello che evidenziano. Anche quando le ambizioni e i sogni più alti di questo mondo appaiono come realizzati, la ricerca del volto più umano e insieme divino resiste ad ogni presunzione e vanità e ci lascia una traccia di dove cercare ancora.
P. Saul Tambini
Rembrandt, Testa di Cristo, 1648-1656, Philadelphia Museum of Art.
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